Come liberare l’armadio in modo sostenibile? Tra strumenti online e negozi sotto casa, qui elenchiamo una serie di opportunità per fare “decluttering” ossia fare spazio nell’armadio in modo sostenibile.
Avrete sicuramente sentito parlare di decluttering, ovvero l’attività con cui liberarsi degli oggetti vecchi ed inutilizzati. Perché non iniziare dall’armadio? Complice l’imminente cambio di stagione, affrontare il nostro guardaroba è un’utile opportunità per fare spazio (anche mentale), e allo stesso tempo per donare, riciclare e aggiornare il nostro stile senza gravare sull’ambiente. Vediamo come.
Le strade da seguire per il decluttering
La prima cosa da fare per fare spazio nel proprio armadio è avere le idee ben chiare su: cosa donare, cosa dare via e cosa vendere. L’obiettivo in tutti e tre i casi è affidarsi ai canali giusti, che impiegano processi etici e tracciati.
Se i capi da dismettere sono in buono stato si può percorrere la strada della vendita tramite una delle numerose piattaforme online disponibili. Oltre ai ben noti siti web Ebay, Subito.it e Kijiji, ci sono app specializzate nella vendita di capi e accessori come Depop e Vinted. In entrambi i casi occorre presentarsi alla community tramite uno shop curato che possa contare su foto ben fatte, descrizioni dettagliate e un tocco di personalità. L’obiettivo è acquistare ma anche scambiare, alimentando un circolo virtuoso di riuso e second hand. Spazio all’interazione tra utenti, e al costante scambio di informazioni. Vince chi è sincero nelle conversazioni e nella vendita degli oggetti. La circolarità dei capi in buono stato permette di cedere ad esempio un vestito rimasto nell’armadio e per troppo tempo inutilizzato a favore di un maglione confortevole di cui in questo momento potremmo avere maggior bisogno.
Decluttering, il mercato del vintage e del second hand
Le piattaforme online hanno il vantaggio di essere accessibili a tutti in qualsiasi parte del mondo. Innegabilmente però altri strumenti per liberare l’armadio possono trovarsi anche nel nostro quartiere, o addirittura sotto casa. Negozi vintage o second hand sono spesso ben contenti di accettare capi o accessori dopo attenta selezione. La pratica più diffusa è il conto vendita. Si cede al negozio il capo concordando una quota, e in caso di vendita l’importo viene corrisposto al venditore. Franchising di questo tipo sono diffusi su tutto il territorio italiano come ad esempio il Mercatino, che ha punti vendita sparsi in Italia nel quali ritira merce usata e la rivende al pubblico che affolla gli shop. Ogni mese il venditore riceve la fattura relativa al suo venduto e può decidere se effettuare nuovi acquisti nel circuito, oppure chiedere il rimborso monetario.
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Economia circolare? Le piattaforme che aiutano a fare decluttering
Il mercato del second hand è in crescita esponenziale e lo sarà sempre di più, perché le esigenze di tutelare l’ambiente sono impellenti. I capi e gli accessori che non si indossano più e che ingombrano inutilmente l’armadio possono finire dritti in una scatola ed essere spediti ad Armadioverde. Si tratta di una piattaforma che accetta box di vestiti dismessi e in buono stato e, a fronte di quanto ricevuto, riconosce una quota di “stelline” utili per effettuare nuovi acquisti sulla stessa piattaforma. La spedizione è a carico di Armadioverde, all’utente basta stampare un’etichetta generata automaticamente al momento della prenotazione del ritiro della scatola, e apporla sulla stessa. Il corriere incaricato si occupa della spedizione a zero spese per chi invia i capi. Armadioverde nasce nel 2015 con l’obiettivo di ridurre i consumi e il nostro impatto sull’ambiente. Gli ideatori, Eleonora e David, sono partiti da una facile constatazione. Alla nascita dei loro figli hanno notato che la vita media di un vestitino era di circa 1 o 2 mesi, per poi passare i capi agli amici, o riempire inutilmente armadi o, peggio ancora pattumiere. Un problema banale a cui, attraverso Armadioverde, hanno provato a trovare rimedio.
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Come donare ad enti di volontariato, il caso Humana People to People
Enti di volontariato e parrocchie effettuano spesso la raccolta di abiti inutilizzati. Piuttosto che cestinare i propri abiti nei bustoni gialli che si trovano per strada, è meglio affidarsi ad un ente di volontariato che si conosce bene, per sapere come verranno riutilizzati i capi dismessi affinché non finiscano in altri commerci poco chiari. Anche in questo caso una scelta di prossimità può aiutare a donare in modo etico e responsabile.
Non tutti i cestoni di raccolta abiti sono uguali. Quelli di Humana People to People sono certamente validi e hanno una filiera tracciata. Humana People to People è un’organizzazione umanitaria di cooperazione internazionale che dal 1998 lavora nella raccolta e il recupero di abiti in 45 nazioni per finanziare progetti di sviluppo per i paesi del Sud del mondo. Imbattersi nei loro contenitori è abbastanza facile, e la loro rete è assolutamente garantita.
Da scarto a risorsa, la nuova vita dei capi
Le tecnologie nelle industrie tessili stanno facendo grossi passi in avanti nel riutilizzo delle fibre da rigenerare per creare nuovi capi. Lo scarto diventa risorsa per numerosi marchi etici ormai consolidati nel mercato. Un maglione bucato o con un’imperfezione a cui non intendete porre rimedio è il caso esemplare di questo tipo di smaltimento. In passato H&M, Ovs e Intimissimi hanno previsto all’interno dei loro numerosi punti vendita ceste per raccogliere capi, offrendo al cliente un buono d’acquisto per incentivare la raccolta. La lista di brand che stanno adottando soluzioni simili è sicuramente più lunga. Questo è un incentivo a tenere gli occhi ben aperti e monitorare costantemente i negozi dei marchi di fiducia, per intercettare le attività di recupero che spesso mettono a disposizione della clientela. La strada è spianata, tocca a noi fare la differenza e a risollevare le sorti del nostro armadio.
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