L’agricoltura sociale per rispondere alla crisi economica ed ecologica

Sono modelli di agricoltura ad ampio raggio che partono dal basso e si diffondono grazie alla buona volontà ed all’impegno degli imprenditori agricoli

Agricoltura sociale modello per superare crisi
Agricoltura sociale (Foto Unsplash)

Diversi analisti, specialmente improntati su un’idea integrativa delle problematiche ambientali, ritengono che l’ecologia, o meglio dire, l’ambientalismo, non sia un settore separato, bensì che si completa con le altre problematiche dell’esistenza. Volente o nolente, si deve ammettere che i diritti ambientali, quando riconosciuti, vanno pari passo con un’implementazione dei diritti umani e di genere. Da questo presupposto nasce l’agricoltura sociale. In un mondo dove la carenza di cibo, causata da condizioni singole, ma in generale da eventi climatici e politiche europee che hanno abbandonato il welfare, è sempre più impattante, le soluzioni alla crisi ambientale possono andare a braccetto con le soluzioni alla crisi economica.

L’agricoltura sociale non è solo una realtà portata avanti da progetti locali, ma anche un modello, su cui lavorare per renderlo sempre più inclusivo e presente sul territorio. Tramite questo esempio si possono aiutare cittadini nell’autoproduzione di cibo a basso impatto ambientale.

Agricoltura sociale, di cosa si tratta nel concreto

Agricoltura sociale modello per superare crisi
Agricoltura sociale (Foto Unsplash)

Come spesso accade, i modelli teorici, per quanto virtuosi, sono destinati a fallire per le difficoltà di realizzazione. Questa volta invece il modello teorico si è scoperto dopo la pratica. E questo perché l’agricoltura sociale si articola partendo da esigenze reali, come la soluzione al reperimento del cibo, difficoltà di accesso ai sistemi sanitari, e integrazione tra diverse culture che abitano lo stesso spazio. Il tutto con un obiettivo comune: prendere dalla terra ciò che vuole donare avendo prima di tutto rispetto di essa.

In Italia l’agricoltura sociale è normata dalla legge 141/2015. Quindi una realtà non esattamente dell’ultima ora, ma che ha intensificato la sua presenza negli ultimi anni, quelli in cui la parola crisi si è maggiormente estesa a tutte le necessità. Richiede la collaborazione di imprese locali, cooperative sociali e si muove principalmente su quattro principi:

  • inserimento socio-lavorativo di lavoratori con disabilità, lavoratori svantaggiati e minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione e sostegno sociale;
  • prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali mediante l’utilizzo di risorse materiali e immateriali dell’agricoltura. Lo scopo è di promuovere, accompagnare e realizzare azioni volte allo sviluppo di abilità e di capacità, di inclusione sociale e lavorativa;
  • interventi socio-sanitari, ovvero prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche anche attraverso l’ausilio di animali allevati e la coltivazione delle piante;
  • progetti finalizzati all’educazione ambientale. La salvaguardia della biodiversità è fondamentale per rendere completi i progetti di agricoltura sociale. In questo modo chi partecipa può vedere con mano gli effetti di un’agricoltura rispettosa dell’ambiente.

Secondo le stime, in Italia le aziende dedite all’agricoltura sociale sono aumentate di sette volte nel decennio dal 2010 al 2020, arrivando a 3.500, con 38 mila addetti e un fatturato di 300 milioni. Ecologia e supporto sociale sono le parole chiave di queste pratiche. A cui il settore pubblico dovrebbe provvedere, ma che purtroppo si rivela piuttosto assente. Ed allora i progetti locali, avallati dalle Regioni, ne fanno le veci.