Rifiuti tossici: la mappa dell'ecomafia dalle parole di un pentito [FOTO & VIDEO]

[galleria id=”1751″]I rifiuti tossici seppelliti illegalmente costituiscono in Italia un problema da non sottovalutare in termini di sostenibilità ambientale. A Casal di Principe, in seguito alle indicazioni di un pentito, sepolti sotto terra sono stati trovati materiale ferroso e fanghi di natura industriale, che gettano ombre inquietanti sull’operato dell’ecomafia nella nostra penisola. Il problema è molto più diffuso di quanto si possa pensare.

In effetti il caso di Casal di Principe rappresenta soltanto la punta dell’iceberg di un fenomeno che tocca in maniera particolare la Campania. Nella cittadina in provincia di Caserta, dietro indicazione di un pentito, sono stati ritrovati rifiuti tossici. Il tutto è emerso in seguito a delle operazioni di scavo eseguite da uomini in tuta bianca e maschere antigas, che hanno perlustrato la zona. I carabinieri sono intervenuti per tenere lontani i curiosi dal luogo del ritrovamento. Al confine con il terreno oggetto di scavo, ce n’è un altro, in cui nel 2011 un collaboratore di giustizia fece ritrovare altri rifiuti industriali pericolosi. Le ruspe hanno scavato fino a 5 metri di profondità e hanno prelevato dei campioni, che poi andranno analizzati. Sono stati utilizzati dei rilevatori di radioattività, ma non se n’è trovata traccia. In generale tutta la regione è interessata da un traffico illecito di rifiuti, dietro al quale ci sono gli interessi economici della camorra. Dal porto di Napoli, per un certo periodo, sono partite le navi per il trasporto dei rifiuti nocivi all’estero. Ad un certo punto le cosche mafiose hanno preferito risparmiare anche in questo senso, optando per la sepoltura dei materiali di scarto direttamente nel territorio locale. Molte sono state le inchieste che negli anni hanno scoperto l’operato dell’ecomafia in Campania.
I dati di Greenpeace e di Legambiente

Federica Ferrario di Greenpeace, intervistata su La Repubblica, ha spiegato l’entità di un fenomeno, che, secondo il suo parere, deriva da anni di industrializzazione selvaggia. E non bisogna pensare, come spesso si fa erroneamente, che il tutto riguardi soltanto la zona meridionale dell’Italia: ad essere interessato sarebbe il 3% del territorio del Paese, che corrisponde a circa 1.800 di chilometri quadrati. Aree marine, lacustri, terrestri (queste ultime per 5.000 chilometri quadrati) attendono un processo di bonifica.
Molto significativi sono anche i dati diffusi da Legambiente, qualche tempo fa, sul traffico illecito di rifiuti: il complesso d’affari sarebbe pari a 43 miliardi di euro, coinvolgendo 666 aziende, implicate complessivamente in 191 inchieste. Numeri sconfortanti e in grado di fare riflettere, anche perché molte volte non ci sono le adeguate garanzie che la legge, invece, dovrebbe dare. Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania, commentando il ritrovamento dei fusti nocivi a Casal di Principe, ha affermato che esiste una “Campania disseminata di bombe inquinanti”. Inoltre ha fatto notare che c’è anche chi paga con la vita il prezzo di queste attività criminali e chi riesce perfino ad arricchirsi.
Le misure legislative
Legambiente ha già da tempo chiesto delle pene più aspre per le azioni messe in atto dalle ecomafie, ma non sempre le norme rispondono a queste esigenze. A livello legislativo si è cercato di fare qualcosa, introducendo maggiori responsabilità per le persone giuridiche, quando queste vengono coinvolte nella violazione delle norme sulla tutela dell’ambiente. E’ stato stabilito di attribuire sanzioni pesanti anche per i dipendenti delle società che traggono vantaggio dal reato. Si tratta di sanzioni di natura pecuniaria, ma anche interdittive e che sono state estese nei confronti di chi distrugge esemplari di specie animali o vegetali protette.
In molti casi, comunque, ci vorrebbe un pugno più duro e una maggiore applicazione delle pene stabilite dalla legge, anche perché aumentano i casi di discariche abusive che contengono rifiuti pericolosi. Basti pensare, in questo senso, al recente caso di Brescia, con un sito contenente polveri di abbattimento fumi, scoperto durante dei controlli nel settore siderurgico nei confronti di due aziende. Gli scarti speciali rintracciati sono stati classificati tra le più considerevoli fonti di diossina. Due imprenditori sono stati denunciati, ma fino a che punto la legge riesce a punire questo tipo di illeciti? Occorrerebbero norme più chiare e più decise.
I roghi tossici

Come viene riportato su Avvenire, le norme per combattere l’illegalità si rivelano in molti casi inadeguate, non facendo niente per evitare la prescrizione. In particolare il problema coinvolge il nostro territorio anche per quanto riguarda i roghi tossici. Questi ultimi non possono essere ricondotti ad un’unica matrice, ecco perché risultano ancora più difficili da contrastare. Non si tratta soltanto di malcostume, ma anche degli interessi economici degli imprenditori, i quali trovano più conveniente abbandonare i rifiuti e poi incendiarli. L’esecuzione materiale di tali incendi viene spesso affidata a soggetti senza scrupoli, che ricevono in cambio un compenso.
Le forze dell’ordine spesso non riescono ad identificare i responsabili. Da questo punto di vista sarebbe necessario un intervento sinergico da parte di tutte le istituzioni competenti, per assicurare un controllo più efficace del territorio. Per evitare anche i molteplici danni alla salute, è importantissimo puntare sulla prevenzione, prelevando i rifiuti abbandonati e garantendo una continuità di controlli nelle zone a rischio, soprattutto quelli in cui si trovano le attività produttive, che più possono eventualmente rendersi responsabili dello smaltimento non controllato degli scarti della produzione.
La mappa dei traffici
I traffici illeciti di rifiuti partono dai porti italiani, come quelli di Gioia Tauro, di Napoli o di Venezia, per poi diffondere gli scarti nocivi in tutto il mondo. E’ stato scoperto che ogni tipo di rifiuto ha una specifica destinazione. Ad esempio in Africa vengono mandati rifiuti pericolosi o non riciclabili, ma anche quelli derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. In Cina vengono trasportati per lo più rifiuti plastici ed elettrici. I danni sono molti, perché i materiali pericolosi, anche se portati all’estero, vengono rimessi sul mercato dalla stessa criminalità organizzata. Ad esempio può capitare che le plastiche usate in agricoltura e, quindi, impregnate di pesticidi, vengano lavorate per poi ricavarne giocattoli per i bambini.