Le tossine più pericolose per il nostro cervello: quali sono e dove si trovano?

[galleria id=”2049″]Ci sono delle tossine molto pericolose per il nostro cervello. I risultati di apposite ricerche condotte a questo proposito hanno messo in evidenza che diversi agenti inquinanti incidono profondamente sullo sviluppo cerebrale del feto, determinando molti problemi neurologici. Una pandemia silenziosa, così è stato definito dagli esperti questo fenomeno che miete vittime a non finire e di cui spesso non si conosce molto. Il punto fondamentale è che questi problemi si potrebbero evitare facilmente, rinunciando a determinati oggetti e badando ad un’alimentazione più sana, di derivazione biologica e controllata in tutte le sue fasi di produzione. L’importante è esserne consapevoli.

Quali sono?
Molto interessanti a questo proposito sono i dati che provengono da uno studio pubblicato dal National Institutes of Health. Il documento fa il punto su alcune sostanze in particolare. Si tratterebbe nello specifico di metilmercurio, etanolo, piombo, arsenico, toluene, policlorobifenili. I loro nomi non ci dicono molto, ma gli esperti sono riusciti a comprendere che tutti questi agenti, dispersi nell’aria, costituiscono delle vere e proprie tossine che le donne in gravidanza assorbono nel loro organismo attraverso un’alimentazione spesso non controllata e che non si rifà a cibi di provenienza biologica. Le conseguenze sarebbero molto gravi, perché a questi agenti chimici è imputata la manifestazione anche di autismo e dell’adhd, disturbo da deficit di attenzione e di iperattività, che interessa molti bambini nel mondo. I ricercatori hanno utilizzato dei test di risonanza magnetica, per dimostrare che queste sostanze chimiche riuscirebbero a cambiare la struttura del cervello, causando l’assottigliamento della corteccia cerebrale.
neurotossine
(theatlantic.com)
Dove si trovano?
Le sostanze chimiche pericolose per il sistema neurologico dei bambini in fase di sviluppo e di crescita sono molto più comuni di quanto possiamo credere, per questo hanno effetti ancora più insidiosi di quelli che apparentemente vengono messi in luce. Consideriamo, ad esempio, il piombo, che è riscontrabile nella benzina, ma anche nelle vernici utilizzate per la casa e per molto tempo sarebbe stato presente, senza opportuni controlli, nei giocattoli. Ci sono nella letteratura medica dei veri e propri casi di avvelenamento da piombo, che si manifestavano con sintomi quali mal di pancia e vomito. Eppure i produttori avrebbero continuato ad usare questa sostanza in molti oggetti, pur essendo consapevoli della sua tossicità. Mai poi anche tubazioni, batterie, cosmetici, ceramica, vetro: spesso le analisi dimostravano che alla base di disturbi rivelatisi malattie neurologiche c’erano proprio questi prodotti.
Già nel 1969 il microbiologo Dubos ha affermato che il problema dell’esposizione al piombo andava definito come un “crimine sociale”, al quale si doveva porre immediato rimedio. Dalle analisi che sono state condotte nel tempo è risultato che verso la metà degli anni ’70 in media ogni bambino statunitense in età prescolare aveva 15 microgrammi di piombo per ogni decilitro di sangue. L’88% dei bambini aveva nel proprio corpo un livello superiore di questa sostanza a 10 mg/dL, che è il doppio di quanto attualmente viene ritenuto tossico. Tutto ciò dimostra come all’origine ci sia un sistema di industrializzazione che non ha visto di pari passo lo sviluppo di un adeguato monitoraggio di sicurezza. Sarebbe questo l’anello debole della catena, che determinerebbe la nostra esposizione a queste sostanze chimiche pericolose per il nostro organismo e che incidono in maniera forte sulla salute. Su questo punto concordano molti funzionari ed eminenti accademici, oltre che tanti leader nel settore chimico. Spesso sarebbero le stesse autorità governative che, nonostante i progetti presentati, non farebbero niente per modernizzare tutto il sistema a tutela della salute pubblica. Basti pensare che nel 2009 la concentrazione media di piombo nel sangue (in riferimento agli americani) era di circa 1,2 mg/dL per i giovani, soltanto l’8% in meno del livello raggiunto negli anni ’80.
Molto è stato fatto, ma tanto ancora si deve fare. Per esempio, negli Stati Uniti l’amianto è stato vietato soltanto nel 1989, anche se ci sono state varie sentenze che hanno parzialmente assolto questo agente cancerogeno noto, nei confronti del quale è intervenuta anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la quale aveva fatto appello ad un divieto globale. Ci sono poi molte sostanze chimiche, che godono soltanto di una presunta sicurezza e che sono autorizzate a rimanere in commercio, fino a quando non si manifesteranno problemi eclatanti di salute a livello pubblico, tali da suscitare l’attenzione dei più. Bisogna sempre distinguere. E’ il caso, ad esempio, del fluoro, che a basse dosi sarebbe utile, perché preverrebbe la carie dentale e aiuterebbe la crescita scheletrica. A livelli alti, comunque, sarebbe capace anche di provocare lesioni nei denti e alle ossa. Il problema non è quello di incorrere nel panico generale: si tratta soltanto di trovare metodi più responsabili e più ecosostenibili.