L’Unesco ha riconosciuto ufficialmente, dopo un lungo iter, la cucina italiana come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.
Il riconoscimento della Unesco nei confronti della cucina italiana come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità – sancito ufficialmente il 10 dicembre 2025 – segna un momento storico per la nostra tradizione a tavola, ma cosa significa davvero, sul piano concreto, questo traguardo? Forse davvero in pochi si riesco a spiegare che cosa è avvenuto oggi, anche tra coloro che esultano, per cui forse è meglio un po’ di chiarezza.

Innanzitutto, va sottolineato che sono diversi i patrimoni immateriali legati al cibo, dal cous cous al kimchi, il piatto coreano che è protetto dall’Unesco addirittura dal 2013, poi ancora la birra belga e il pasto gastronomico francese. Nell’elenco, anche il lavash e la nsima, oltre che lo street food di Singapore, mentre l’Italia è già presente, ben prima del riconoscimento alla sua cucina, con la pizza napoletana e i suoi maestri, e con la dieta mediterranea.
Questo riconoscimento alla cucina italiana, contrariamente ai precedenti, non riguarda un piatto specifico o un insieme di piatti, né qualche ricetta iconica: finalmente è l’intero sistema culturale, sociale e antropologico legato all’alimentazione italiana che viene valorizzato. La preparazione del cibo, la convivialità, le stagioni, la territorialità, la trasmissione di saperi e tradizioni sono tutte buone pratiche viste come parte integrante di un’eredità collettiva.
Il riconoscimento ufficializza il valore culturale e sociale del modo di alimentarsi e stare a tavola degli italiani e in termini economici potrebbe generare un aumento turistico: un +6-8% nel medio termine, con decine di milioni di presenze aggiuntive grazie all’interesse verso enogastronomia, cultura e territori. Turismo gastronomico che non riguarderà soltanto le grandi città in via esclusiva, ma anche piccole realtà locali, produzioni tipiche, ristoranti tradizionali.
A livello simbolico e identitario, il riconoscimento rafforza il ruolo della cucina come parte dell’identità nazionale e della storia di comunità, inoltre rappresenta una forma di diplomazia culturale: la brand identity del nostro Paese nel mondo non è solo arte, moda o design, ma anche l’arte del buon vivere, del mangiare insieme e del rispetto per territorio e tradizioni. Ci sono chiaramente dei punti controversi che vanno analizzati.
Intanto, il riconoscimento da parte dell’Unesco non è una garanzia automatica di protezione o di applicazione uniforme: molto dipenderà da come istituzioni, regioni, comunità e operatori decideranno di valorizzare, promuovere e custodire questa eredità. In secondo luogo, c’è il rischio – già segnalato da alcuni addetti ai lavori – che il riconoscimento venga sfruttato solo come strumento commerciale o promozionale, per turismo di massa, pacchetti gastronomici, sfruttamento dell’immagine, senza un reale legame con le tradizioni autentiche.
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