Messina Denaro: svelato un inquietante retroscena sul famoso caso di Giuseppe di Matteo, giovane brutalmente ucciso dalla mafia corleonese.

Con il latinante capoclan della mafia siciliana, Matteo Messina Denaro, tra le sbarre, stanno tornando in auge alcuni casi irrisolti o sui quali aleggia ancora un velo di incertezza e contraddizione dei fatti. Uno di questi è sicuramente quello che riguarda l’atroce omicidio di Giovanni di Matteo, figlio un pentito: Santino di Matteo, strangolato e poi sciolto nell’acido.
Messina Denaro: un retroscena inquietante sul caso Giuseppe Di Matteo

Era l’11 gennaio 1996, quando Giovanni Brusca, uno dei tre boss del clan corleonese, mandò l’ordine di uccisione di Giuseppe di Matteo, di appena 14 anni. La sua colpa? Essere il figlio di Santino di Matteo, un pentito in fuga tra le carceri di Palermo per aver testimoniato contro i boss di Corleone.
Con Matteo Messina Denaro dietro le sbarre, stanno tornando alla luce dei dettagli che potrebbero permette di fare chiarezza su alcuni casi parzialmente irrisolti o incompleti, come questo. Per anni, i responsabili dell’omicidio sono sempre stati tre: Messina Denaro, Giovanni Brusca e Alfredo Montalto. Tuttavia, una recente dichiarazione di Messina Denaro rivolterebbe tutta la responsabilità a Giovanni Brusca, il vero mandante dell’assassinio del giovane.
Il barbaro omicidio di Giuseppe Di Matteo è uno degli episodi più macabri della storia della mafia in Italia. I membri di Cosa Nostra, travestiti da poliziotti, dissero al dodicenne che lo avrebbero portato dal padre, Santino di Matteo, un mafioso voltagabbana. All’epoca, Santino era sotto la protezione della polizia perché aveva accettato di testimoniare contro i suoi ex associati.
La storia del rapimento
I membri mascherati della mafia erano guidati da Giovanni Brusca – noto come “il Massacratore”, “il Boia” e persino “il Maiale” per aver ucciso ben 200 persone – e dal noto boss mafioso Salvatore “Toto” Riina. I rapitori hanno poi torturato Giuseppe di Matteo per quasi 800 giorni tra il 1993 e il 1996 prima di ucciderlo. All’inizio, l’obiettivo principale della mafia era far sì che Santino si tirasse indietro e smettesse di aiutare la polizia. L’ex mafioso era stato arrestato per aver partecipato all’omicidio del giudice antimafia Giovanni Falcone.
Dopo l’arresto, Santino accettò di aiutare la polizia nelle indagini, rivelando tutti i dettagli dell’omicidio e testimoniando contro la mafia nel caso di Falcone. Fu il primo coinvolto nell’omicidio di Falcone a farlo.
Il rapimento di Giuseppe di Matteo fu un tentativo di intimidire il padre affinché ritrattasse la testimonianza resa nella sua deposizione. I mafiosi non ebbero pietà del bambino indifeso. Il bambino fu tenuto in una gabbia, picchiato e denutrito. I rapitori inviarono a Santino persino le foto del figlio maltrattato durante le torture. Santino cercò disperatamente di negoziare con loro per salvare il bambino, ma senza successo.
Alla fine, dopo aver tenuto il bambino per 779 giorni e con la deposizione legale di Santino ancora in corso, Brusca diede ai rapitori di Giuseppe di Matteo l’ordine finale di “sbarazzarsi del cucciolo”. Continuano le indagini sul mandante del delitto.