Inquinamento in Cina: il 60% delle acque sotterranee non è potabile [FOTO]

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L’inquinamento in Cina continua a destare scalpore, adesso che si è scoperto come quasi il 60% delle acque sotterranee sia inquinato. A rivelarlo è stato un rapporto del Ministero della Terra e delle Risorse e la notizia è subito rimbalzata nell’ambito della stampa internazionale. Sono state effettuate delle apposite analisi, che hanno rivelato la qualità bassa delle acque cinesi. Nello specifico il 44% dei luoghi esaminati aveva una qualità relativamente bassa e il 15,7% molto bassa. Tutto ciò sta a significare che queste acque non sono utilizzabili per il consumo umano e non basterebbero a risolvere la situazione nemmeno i più moderni impianti di depurazione.

Dalle stime che sono state effettuate è risultato che soltanto il 3% delle falde acquifere nelle aree urbane può essere ritenuto completamente pulito. Una situazione, che molto probabilmente è giunta alla consapevolezza anche delle autorità, le quali da tempo si sono mosse in una direzione ben specifica, proibendo ai residenti di alcune città di utilizzare l’acqua del rubinetto. Nella città di Lanzhou era successo un episodio particolare: una fuga pericolosa aveva portato all’aumento della concentrazione del benzene, che aveva superato di molte volte il limite della sicurezza ammissibile. Anche nella capitale cinese il problema si fa sentire con tutti i suoi risvolti. A Pechino la disponibilità di acqua potabile, se consideriamo i bisogni individuali annui, è veramente molto ridotto: ammonta a soltanto 120 metri cubi all’anno pro capite. Ecco perché il Governo sta già agendo in questo senso, per cercare di porre un rimedio alla situazione, progettando un impianto per desalinizzare l’acqua del mare. Tutto ciò è da rapportare alle conseguenze di anni di industrializzazione non regolamentata.
Il dossier di Greenpeace
Di recente Greenpeace ha svolto un’indagine molto accurata. Ne è venuto fuori un dossier, che documenta un notevole sversamento di acque industriali in mare. La zona interessata è quella della Wubao Dyeing Industrial Zone. Si vede benissimo come tutta l’area è interessata da una macchia nerastra, grandissima, in totale quasi come 50 piscine olimpiche. Proprio questa macchia è stata individuata attraverso l’uso di immagini satellitari. Secondo Greenpeace il tubo, da cui vengono fuori le acque reflue, appartiene ad un depuratore comunale, che ha il compito di trattare i residui che provengono da 19 tintorie e fabbriche, localizzate nella città di Shishi.
Gli ambientalisti hanno effettuato dei test, rintracciando sostanze chimiche tossiche. Gran parte di queste proverrebbe dalle fabbriche tessili della zona, che è piuttosto famosa proprio per questo tipo di industria, i cui prodotti vengono esportati in Medio Oriente, nel Sud Est dell’Asia e in Africa. Si è pensato che la realizzazione dei depuratori lungo la costa potesse essere di grande utilità per salvaguardare l’ambiente marino. In realtà le aspettative sono state deluse, perché nelle acque reflue, seppur trattate dagli impianti, rimangono delle sostanze chimiche in concentrazioni pericolose. Questi effetti si riscontrano non soltanto nella contaminazione delle acque costiere, ma potrebbero avere un’influenza fondamentale ad un livello più ampio, visto che potrebbero coinvolgere anche la catena alimentare generale. Ma c’è di più. A volte, infatti, non si rispetterebbero le norme ambientali e verrebbero costruiti dei tubi di scarico abusivi.
Il dossier di Greenpeace, da questo punto di vista, dà delle informazioni molto precise. Viene, infatti, fatto notare come in totale i punti di scarico registrati sono 435. In più di due terzi di questi nel 2012 è stata riscontrata una violazione delle leggi poste a salvaguardia dell’ambiente. A volte i tubi di scarico per le acque reflue vengono anche sepolti in fondo al mare, a distanze più alte, in modo da riuscire a nascondere la questione scandalosa. Secondo Greenpeace, tutto ciò rappresenta soltanto la punta dell’iceberg di un problema molto vasto, che complessivamente riguarda 32,2 miliardi di tonnellate di acque rilasciate nell’ambiente marino. A questo proposito giungono anche i dati ufficiali elaborati dalla State Ocean Administration della Cina. I numeri anche in questo caso sono sconcertanti: il 68% dei punti di scarico sarebbe illecito e il 25% non avrebbe rispettato mai gli standard nazionali posti a tutela della zona.
Gli effetti dell’inquinamento dell’aria
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L’inquinamento in Cina fa sentire i suoi effetti. A Shanghai tutto è ricoperto di smog e il sole non riesce nemmeno a filtrare. E’ proprio una nebbia provocata dalle polveri sottili, che ha ridotto di molto la visibilità, ha determinato ritardi nei voli e ha costretto a ricorrere alla chiusura di scuole e uffici. Si tratta di un pericolo che non può essere ignorato, anche perché il livello di polveri nocive rintracciato è di molto superiore a quello indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come limite di sicurezza. Non si era raggiunto fino a questo momento un livello di inquinamento così alto, ma le condizioni meteo hanno svolto un ruolo pregnante nel determinare la stagnazione dell’aria.
Gas di scarico delle auto e l’utilizzo del carbone come combustibile stanno facendo la loro parte. Ad essere coinvolta non è solo Shanghai, ma diverse città sono interessate da questo problema, a partire da Pechino. Tutti cercano di difendersi, sfruttando i sistemi che si hanno a disposizione. Si preferisce restare in casa oppure si cercano le mascherine. Queste ultime non si trovano più neanche su internet e passano diversi giorni prima di riceverle. Con la temperatura ormai scesa, non è possibile accendere i condizionatori, perché essi incidono sul tasso di inquinamento. Molte persone si recano presso gli ospedali, per ricevere farmaci da utilizzare per problemi alla gola. A Shanghai, per il momento, è intervenuto l’ufficio di protezione ambientale, che ha deciso di prendere una misura eccezionale, innalzando la soglia limite di inquinamento tollerabile.
Un’intera città, Harbin, è stata chiusa a causa dello smog, che ha superato di 50 volte il limite consentito per legge. La maggior parte delle attività sono state sospese, le strade sono rimaste chiuse al traffico, si sono fermati gli aeroporti e le scuole non hanno aperto. Tutto a causa della presenza di una vera e propria nebbia causata dalle polveri sottili, che ha ridotto la visibilità a 10 metri. Il record è dovuto sicuramente all’arrivo del freddo, che ha costretto all’accensione dei riscaldamenti, la maggior parte dei quali nel Paese funziona a carbone. E la situazione non sembra poter migliorare nel corso dei prossimi mesi. Preoccupazioni anche per Shanghai, che è considerata la città più importante del Paese dal punto di vista economico.
Basti pensare che la soglia che dovrebbe far scattare l’allarme inquinamento è fissata a 20 sull’indice AQI. Proprio per questo motivo la città sta lavorando ad un piano che dovrebbe far migliorare la situazione nel corso dei prossimi anni, per ridurre di un quinto l’inquinamento. Si pensa in particolare all’installazione di 5000 stazioni di ricarica per le auto elettriche, in modo da favorirne la diffusione, e alla creazione di numerose aree verdi, per una superficie totale di 46 chilometri quadrati.
L’uso del carbone
L’inquinamento in Cina si sta configurando come un vero e proprio disastro ambientale, raggiungendo livelli pericolosi. Spesso la questione non emerge, ma la situazione sta arrivando a delle punte davvero allarmanti. Un dato su tutti lo dimostra: secondo il Ministero dell’Ambiente, soltanto 27 città su 113 hanno raggiunto standard accettabili per quanto riguarda la qualità dell’aria, in riferimento al 2012.
Il problema principale è rappresentato dall’uso del carbone come prima fonte di energia. Le emissioni sono prodotte dal riscaldamento invernale, che sta diventando una delle cause primarie registrate soprattutto al Nord del Paese, caratterizzato da un clima piuttosto freddo. E’, infatti, evidente, in base a ciò che ha detto Li Hongbin, professore di Economia alla Scuola di Economia e Management dell’Università Tsinghua, che c’è una differenza nello smog fra il Nord e il Sud della Cina. Ciò non deve, comunque, portare a trascurare la situazione nella parte meridionale dello Stato, perché su tutto il territorio il carbone è anche la risorsa più sfruttata per alimentare le industrie. Dopo la rivoluzione comunista, il Governo cinese ha portato avanti una politica di distribuzione gratuita di carbone per alimentare le stufe e tutto ciò non ha fatto altro che far peggiorare il quadro.
Le conseguenze

Il Governo cinese, dal 1981 al 2000, ha effettuato delle statistiche sulla salute, prendendo in considerazione il fiume Huai come linea di demarcazione. Si è visto che sulla sponda settentrionale la quantità di particelle inquinanti ha una concentrazione maggiore rispetto a quella captata sulla riva meridionale. Il professor Hongbin ha dichiarato che l’esposizione ad un livello superiore a 100 microgrammi per metro cubo di queste particelle nocive è in grado di ridurre la vita di 3 anni e di aumentare la mortalità del 14%.
Proprio su questo aspetto si è concentrato anche uno studio dell’Università di Pechino e di Greenpeace, dal titolo Dangerous Breathing, riuscendo a scoprire che, proprio nella Cina del Nord, la vita si è accorciata di 5 anni a causa della ingente mortalità per le malattie respiratorie. Nella parte settentrionale del Paese si registrano 550 microgrammi al metro cubo di particolato; al Sud 350. A fare la differenza è proprio il riscaldamento domestico. Ecco perché gli stessi autori della ricerca hanno sottolineato l’importanza di cercare di portare avanti politiche in grado di equilibrare la crescita economica con la qualità dell’ambiente.

A destare maggiore preoccupazione sono le particelle PM 2,5 (sottoinsieme del PM 10), vale a dire particolato fine con diametro inferiore a 2,5 micron, perché penetrano più profondamente nelle vie respiratorie. A Pechino e nelle altre metropoli della Cina, la densità di questi elementi può superare di 40 volte anche il tetto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Uno studio pubblicato su Lancet ha messo in evidenza che proprio l’inquinamento atmosferico è stato la causa di 1,2 milioni di decessi nel 2010. Secondo l’OMS, la Cina detiene il 40% delle morti da inquinamento registrate sulla Terra.
I Paesi vicini
Le condizioni sono preoccupanti anche per i Paesi vicini. In Cina i segni sono visibili nelle acque dei fiumi, nelle atmosfere rarefatte che spesso avvolgono le città. Tuttavia c’è un serio pericolo che lo smog possa minacciare altri Stati, estendendosi su altri Paesi dell’Asia, primo fra tutti il Giappone. Tutto ciò diventa più pericoloso quando si realizzano delle condizioni meteo più stabili e che sono caratterizzate dalla scarsa ventilazione negli strati più bassi dell’atmosfera. In questi casi l’anidride solforosa e l’ossido di azoto possono veramente rappresentare un rischio da non sottovalutare. Le autorità di Tokyo hanno deciso di organizzare un vertice con delegati del Governo cinese, in modo da dibattere sull’argomento. Lo scorso febbraio, infatti, una nuvola di sostanze inquinanti, dall’Est della Cina, si è diretta verso l’arcipelago nipponico, mettendo in discussione i limiti della qualità dell’aria su diverse città del Giappone centro-meridionale.